Le fonti storiche inerenti al presepe sono i Vangeli di Luca e di Matteo. Essi infatti narrano della nascita di Gesù, dell’annuncio ai pastori, dei Re Magi con le offerte. Anche gli scritti apocrifi (Protovangelo di Giacomo e il “Vangelo arabo dell’infanzia”) arricchirono la narrazione evangelica. Origene, poi (prima metà del III secolo), nella sua tredicesima omelia su Luca, aggiunse la presenza, nella stalla , del bue e dell’asinello. Sono, questi , gli elementi delle prime rappresentazioni paleocristiane della Natività e dell’Epifania. Cercare di stabilire quali delle tante rappresentazioni, quasi sempre a bassorilievo, comunque non a tutto tondo, sia la più antica, è solo mera vanità: merita tale vanto il bassorilievo del sarcofago di Adelphia e Valerio a Siracusa, oppure quello di Isacio, esarca armeno in Ravenna, o non piuttosto, il cimitero di S. Agnese a Roma, o l’Epifania con due Magi nelle catacombe di Pietro e Marcellino o quella con quattro Magi delle catacombe di Domitilla. Piuttosto, e a proposito dei Magi, è interessante annotare che il numero di costoro, alquanto vario, fu fissato in tre da S Leone Magno (V secolo) e che essi venivano considerati ciascuno come appartenente ad una delle tre razze umane, la semita, rappresentata dal Re giovane, la giapetica dal Re maturo, la camitica rappresentata dal Re moro. Tale simbolismo, oltre a dimostrare la partecipazione Universale alla Redenzione, non finisce qui: i tre Re, di età diversa , dovrebbero rappresentare le età dell’uomo, i tre doni che essi portano, testimonierebbero, la regalità (l’oro), la divinità (l’incenso), l’umanità ( la mirra ) del Divino Bambino. Interessante sarà anche osservare che dal III-IV secolo fino al XIII , non poche rappresentazioni della Natività in bassorilievo esistenti in Italia presentano la Vergine distesa accanto al Bambino poggiato nella mangiatoia e costituiscono perciò una testimonianza dell’influenza esercitata, specie, nell’Italia mediterranea per diversi secoli dalla Chiesa di Oriente.
Infatti, in seguito alle polemiche della Chiesa di Antiochia e quella di Alessandria, cioè tra Nestorio il quale, tenendo distinte le due nature, divina ed umana di Cristo, sosteneva che Maria era Madre di Gesù-uomo e non di Gesù-Dio, e Cirillo, il quale, insisteva sulla divinità di Maria, ,risultò, in un primo momento, vincente la tesi di Nestorio che, per quanto solennemente condannata nel concilio di Efeso del 431, influenzò ancora per lunghi secoli i Paesi del Medio e lontano Oriente. Solo dopo il XIII secolo, con l’affermarsi del culto Mariano, per le elaborazioni teologiche di S.Tommaso e di S.Bonaventura, si ritenne che il parto della Vergine non poteva essere rappresentato come quello di una comune mortale: da allora Maria e Giuseppe vennero rappresentati in ginocchio, adoranti, mentre scomparivano dalle rappresentazioni anche le levatrici, la nutrice, Eva, la Sibilla, personaggi che avevano trovato spazio in tali raffigurazioni (vedi Sarcofago di Adelphia e Valerio del III e VI secolo a Siracusa; il presepe di avorio della Cattedrale di Massimiano (546) a Ravenna; il presepe scolpito nel 1268 da Niccolò Pisano sul pulpito del Duomo di Siena). Sin dai primi secoli dell’era cristiana dunque, la nascita di Gesù, evento centrale della redenzione del genere umano, fu raffigurata a mezzo di affreschi, bassorilievi e incisioni su pareti, sarcofaghi e formelle, inseriti in edifici del culto.
Tali testimonianze, numerosissime ed anche molto interessanti perché l’evoluzione della loro iconografia interesserà anche lo sviluppo del presepe, non possono essere considerate presepi. Nel corso dei secoli il termine presepe (oppure presepio dal latino”praesepe-praesepis” oppure “praesepium-praesepii” = greppia, mangiatoia e, in seguito, per traslato, stalla, grotta) è stato attribuito via via soltanto alle rappresentazioni plastiche a tutto tondo, sia della sola scena della Natività, sia a quelle alle quali, sono state aggiunte altre scene quali l’Adorazione dei pastori, l’Adorazione dei Magi, L’Annuncio ai pastori etc...
E’ infatti, fin dall’alto Medioevo , nelle Chiese e nelle Confraternite venivano allestite sotto forma di sacre-rappresentazioni, i vari episodi del ciclo: è dunque probabile che da esse si sia passati a rappresentazioni con figure scolpite. Ma nessun reperto di testimonianza scritta ci è giunta di opere a tutto tondo della Natività fino alla metà del XIII secolo. D’altra parte una sorta di embrione del presepe può essere individuata nelle “tettoie” in legno rette da tronchi di albero che già Papa Liberio (352- 355) fece erigere a Roma nella, Basilica detta appunto , ma per altra motivazione,“S S.MARIA ad praesepe” e che oggi è nota come S. Maria Maggiore. Dunque una tettoia retta da tronchi d’albero, quasi lo schema essenziale di una stalla, posta davanti ad un altare presso il quale, il 24 dicembre di ogni anno veniva celebrata la Messa di mezzanotte. Altre “tettoie” furono erette in altre Chiese a Roma (S. Maria in Trastevere), a Napoli nella Chiesa di S. Maria della Rotonda, e certamente in altre Chiese di altre città. Si sa pure che Papa Gregorio II ( 731-734) fece sistemare sotto la tettoia di S. Maria Maggiore una statua d’oro della Madonna con il Bambino e che anche in altre chiese furono collocati sotto tali tettoie pitture o statue che ricordavano il Sacro Evento.
E’ tradizione, solo poeticamente e devozionalmente accettabile, che sia stato San Francesco che “inventò” il presepe nella Santa notte di Greccio del 1223. In realtà, come è evidente per quanto detto finora, il presepe non ha una precisa data di “nascita”, ma si è andato formando attraverso vari usi, tradizioni, costumi, addobbi, pitture nelle chiese e nelle sacre rappresentazioni.
Il primo presepe con personaggi a tutto tondo è del 1283 e fu scolpito, su committenza di Papa Onofrio IV nel 1283. E’ un opera poderosa della quale rimangono, certamente scolpite da Arnolfo, soltanto cinque statue.
Il miracolo di Greccio ebbre certamente grande risonanza e potrebbe aver stimolato l’allestimento di presepi perché fuor di dubbio che l’Ordine Francescano fu il primo a favorirne la diffusione . A Napoli, dove i Francescani furono protetti dagli Angioini e fondarono conventi, un presepe che per ora cronologicamente è il secondo, fu quello donato dalla Regina Sancia nel 1340 alle Clarisse per la loro Chiesa appena costruita. Di tale presepe, a figure staccate, in legno, dipinte e miniate con motivi geometrici coevi, è giunta a noi soltanto la Madonna giacente (Museo di S. Martino Napoli). Di un altro presepe, successivo soltanto di pochi decenni, rimangono cinque figure staccate, a grandezza naturale, in legno, che recano la data del 1370 e che, intagliate da anonimi artisti bolognesi, furono poi splendidamente decorate da tal Simone de’Crocifissi. Esse sono custodite a Bologna.
Nella prima metà del ‘500 mentre si intravedono segni forieri di movimenti riformistici della cristianità, si verificò in tutta Italia un’intensa e artisticamente valida produzione di presepi, quasi tutti per chiesa. In Piemonte ed in Lombardia sacre rappresentazioni con statue in pietra a grandezza naturale e con scenografia saranno costruite nei Sacri Monti di Varallo e di Varese. Nel Duomo di Modena esiste tuttora il bellissimo presepe in terracotta di Antonio Begarelli (1527), oltre quello di Guido Mazzoni, detto “Il presepe della pappa”. Nelle Marche, a Piobbico (Urbino) e in Urbino stessa, sono custoditi due splendidi presepi dello scultore Federico Brandani. A Faenza, in quello stesso periodo, vennero creati, tra l’altro, “calamai a presepe” in ceramica colorata. A Leonessa (Rieti) “figulini” abruzzesi plasmarono un monumentale presepe con 26 statue, animali e cavalli, mentre in Puglia , ad opera dello scultore Stefano da Putignano, sorsero in chiese di varie località presepi con statue scolpite in pietra, ambientati in grotte costruite con rocce naturali e che costituiscono le uniche “scenografie”, alquanto simili tra loro , giunte fino a noi.
A Napoli la produzione della statuaria presepiale fu intensa e richiesta per chiese e per committenti anche spagnoli, ma oltre il presepe donato alle Clarisse dalla Regina Sancia, nel 1340 del quale, come detto innanzi, si conserva, tuttora, soltanto la Madonna giacente, nulla è giunto fino a noi.
L’arrivo a Napoli di Pietro e Giovanni Alemanno, originari dell’Italia del nord darà particolari impulso alla plastica lignaria presepiale. Molte furono le chiese per le quali Pietro, il padre, personalità artistica di notevole spessore, il figlio Giovanni e numerosi collaboratori scolpirono presepi completi costituiti da numerose figure. Il più antico fu scolpito nel 1478 per la Chiesa di S. Giovanni Carbonara. Le statue erano quarantuno, a grandezza quasi naturale dipinte da tal Francesco Fiore, erano disposte in un ampia e complessa scenografia (delle quali come di tutte le scenografie di presepi anche dei secoli successivi nulla è rimasto ed è possibile solo formularne ipotesi).
Le statue giunte ai nostri tempi sono dodici e l’immagine dell’angelo soffiante di questo più antico presepe giunto ai nostri giorni è stato significativamente scelto dagli “ Amici del presepe di Napoli” come “logotipo” della Sezione.
Altro presepe dell’epoca e quello del Belverte tuttora parzialmente visibile nella Basilica di San Domenico Maggiore in Napoli .
Siamo, ora , in periodo rinascimentale e, primo tra tutti ricorderemo il presepe (1475) dello scultore Antonio Rossellino, custodito a Napoli nella Chiesa di S. Anna dei Lombardi. Si tratta di un vero gioiello: un altorilievo in candido marmo nel quale le figure si stagliano quasi a tutto tondo su uno sfondo-scenografia, ugualmente in marmo. La Madonna soavemente adorante, S. Giuseppe e gli stessi animali sono interpretati in atteggiamento naturale, non convenzionale.
Tra la fine del ‘400 e i primi decenni del secolo successivo lo scultore rinascimentale Giovanni Marigliano (1480-1558) più noto come Giovanni da Nola , tenne il primato a Napoli con la sua scuola di scultura. Eseguì in marmo statue, monumenti per vicerè, principi e nobili, per numerose chiese e per importanti edifici pubblici della città, opere tuttora visibili. Intagliò nel legno splendidi presepi anche con elementi paesistici (dei quali, nulla è rimasto), con statue lignee policrome, a grandezza naturale. Tuttora, nella chiesa di S. Maria del Parto a Margellina si possono ammirare cinque statue
residue del presepe commissionatogli da Jacopo Sannazaro in occasione della pubblicazione del suo poema in latino: “De partu Virginis”.
E’ tradizione che S. Gaetano da Thiene, fondatore dell’Ordine dei Chierici Teatini, venuto a Napoli nel 1534, abbia nutrito un vero culto per il presepe e che, anche se non ne esiste alcuna testimonianza scritta, vi abbia introdotto personaggi abbigliati secondo gli usi del tempo.
Alla fine del ‘500, in pieno clima controriformistico, Teatini, Francecani, Gesuiti e , poco dopo gli Scolopi, al fine di alimentare ed incrementare sempre più la fede, la pietà popolare, favorirono la diffusione del presepe. Si sa che i monasteri femminili fecero a gara per possedere il più bel presepe: le statue erano in legno, con occhi di vetro ma di grandezza di poco inferiore a quella solita.
Si sviluppa, cosi’ il presepe barocco che fu detto anche mobile perché veniva smontato e ricostruito ogni anno. Le monumentali statue a tutto tondo furono sostituiti da manichini in legno, anch’essi scolpiti da valenti artisti; i giunti a snodo consentivano di atteggiarli in vario modo, le statue erano di altezza inferiore, avevano parrucche, occhi di vetro, parti nude policromate, abiti.
In realtà il manichino in legno articolabile, era nato in Germania e furono i Gesuiti che, nel 1560 a Praga soltanto con una Natività e a Monaco di Baviera, nella Chiesa di S. Michele, nel 1605 con un intero complesso presepiale, diedero l’avvio a questo nuovo tipo di presepe. A tal proposito sarà utile aggiungere che i presepi dei Gesuiti erano concepiti in chiave didattico -liturgica perché erano poliscenici e riportavano diverse tappe della narrazione evangelica.
Sono pervenute ai nostri giorni soltanto notizie intorno alla scenografia di tali presepi. Essa divenne un elemento importantissimo, tenne sempre più conto di problemi inerenti la prospettiva, l’illuminazione per la quale si ricorreva a lampade, specchi e lamiere che, abilmente disposti o celati da finti damaschi, presentavano il presepe come una scena teatrale.
Oltre ai personaggi tradizionali comparvero gradualmente scene o spunti laici che nulla avevano in comune col sacro Evento: il mercato, la fontana, il cascinale, la taverna....Sono evidenti, dunque, i caratteri del barocco imperante: spettacolarità, senso del movimento, tendenza al naturalismo, che rappresentavano la realtà circostante e, più che ai canoni liturgici e delle opere sacre, si ispiravano a quelli estetici del tempo.
Innumerevoli furono gli scultori di importanti monumenti e statue di carattere civile e che si dedicarono anche alla scultura in legno di tali manichini: Pietro Ceraso, Giuseppe Picano, Domenico Di Nardo, Giacomo Colombo. Essi furono gli autori di un famoso presepe, a manichini a grandezza umana, che pare fosse stato donato dalla duchessa Orsini alla Chiesa di S.Maria in Portico.
Si tratta dell’unico presepe completo, a manichini, giunto fino ai nostri giorni, anche se purtroppo i manichini sono stati in vario modo e tempi rimaneggiati. E’ custodito nel Museo della Chiesa di S. Lorenzo Maggiore.
Il presepe barocco napoletano diede notevole impulso al presepe ligure per l’attività svolta a Genova dal napoletano Giacomo Colombo che vi si era trasferito. E ciò avvenne anche in Puglia e in Sicilia dove il presepe diventò “ mobile” con statue di misura ridotta, in terracotta, cartapesta, creta-cartapesta, o , addirittura, in materiali preziosi (in Sicilia: corallo, oro ).
Verso la fine del XVII secolo l’artista napoletano Michele Perrone, spinto dalla necessità di soddisfare una richiesta via via più numerosa ed estesa, ideò un manichino di altezza inferiore a quelli a snodo, con l’anima in filo di ferro dolce e ricoperto di stoppa e per il quale erano scolpiti in legno soltanto la testa e gli arti. Fu una innovazione importantissima perché , consentendo estrema mobilità e duttilità di atteggiamenti a ciascuna figura, conferiva veridicità, naturalezza alla scena di cui faceva parte e creava l’avvio al presepe rococò.
Furono le istanze rococò, il teatro, in particolare l’opera buffa, il realismo ed anche la moda e le spinte culturali del tempo, le molte componenti del presepe napoletano del settecento. La teatralità, già elemento essenziale del presepe barocco, diventò massima per l’estrema flessuosità del manichino di ferro e stoppa, per la tendenza a riprodurre nella scenografia e nelle scene, Napoli con le sue piazze, il suo mercato, i suoi concertini all’aperto, le sue taverne.
Il ‘700 fu il secolo d’oro dell’arte del presepe. Napoli , ridivenuta capitale di un Regno, in quello che fu il secolo dei lumi per il fiorire delle arti, della filosofia, dell’economia, del diritto, della cultura, fu una delle città europee più brillanti e proprio mentre l’illuminismo cercava di abbattere tutti i principi cristiani, fiorì l’arte del presepe, che, però , si è completamente laicizzato , essendosi arricchito di personaggi ed elementi che nulla o quasi hanno in comune con la sacra scena.
Il gruppo del Mistero viene ambientato in una grotta arricchita da resti in rovina di un tempio pagano, i personaggi indossano i costumi delle province del regno, siano essi mandriani, contadini, miseri, patrizi. Il presepe diventa specchio della vita quotidiana, con le miserie del popolo minuto e il fasto e lo splendore della nobiltà, l’arte supera, travalica la rappresentazione del mistero come era avvenuto fino a quel momento e anche le altre scene del complesso presepiale presentano mescolanze di sacro e di profano, confusione di epoche, intrusione di elementi esotici, simbolismo più o meno palese. Come il tempio in rovina accanto alla grotta, eco delle scoperte archeologiche del momento, starebbe ad indicare il trionfo del cristianesimo sul paganesimo, accanto agli Angeli che annunziano agli umili la nascita del Signore che li riscatterà dall’antico servaggio, vi sono gli ori, lo sfarzo delle vesti dei Magi, del loro seguito, della nobiltà.
Ciò poté avvenire grazie al rigoglioso fiorire di scultori quali G. Sammartino, e Lorenzo Vaccaro e di tanti altri quali L. Mosca, F. Celebrano, M. Bottiglieri, gli Ingaldi, N. Vassallo, solo per citarne alcuni, i quali, oltre che ad opere monumentali in marmo o materiali nobili per chiese ed edifici pubblici, non disdegnarono di scolpire nel legno o modellare in crete testine di pastori.
L’arte presepiale dette vita a sua volta, ad un vivace, diversificato artigianato. Accanto al lavoro creativo dei “maestri” nelle botteghe dove collaboravano allievi ed operai, ferveva l’operosità di artigiani specializzati: setifici con telai particolari, sarti, falegnami, cesellatori, argentieri, bardatori, ecc.
Fu il presepe napoletano del ‘700 secondo la definizione dello studioso Raffaello Causa, nel suo “IL PRESEPE CORTESE“....voce tipica della cultura artistica nella Napoli del ‘700.....il presepe che diremo “cortese” per differenziarlo dal vecchio presepe di chiesa... si rivela esperienza mondana, sostanzialmente disincantata e laica, giuoco alla moda della corte, dell’aristocrazia , dei ricchi borghesi.. disimpegno d’elite di cui si attendeva nelle ore sfaccendate del giorno..”. Ed appunto con il tramonto di questa società tanto raffinata e dal gusto bizzarro la favola del presepe settecentesco si conclude.
Con l’ascesa progressiva della borghesia, che sarà sempre più folta ed attiva, nacque, il pastore di terracotta, di varia qualità e misura, accessibile a tutte le borse ed in proporzione con scenografie dalle dimensioni sempre più ridotte. Il presepe , specchio della vita quotidiana, presenta ora una vita pullulante di interessi e di mestieri.
Quanto al carattere peculiare del presepe di oggi, occorre osservare che prevale la tendenza ad ispirarsi al ‘700 come al secolo d’oro del presepe (scenografia, pastori, animali, accessori. ), espressione del “bello”; l’800 con la sua scenografia, specchio di una vita più reale e con i suoi pastori di terracotta ha numerosi seguaci, attenti particolarmente agli usi, mestieri, utensili, ora .....tramontati. Anche i “moderni” presepi in miniatura, i minipresepi, popolati da pastorini di qualche centimetro (= moschelle), ispirano eccellenti artisti ed artigiani d’arte e godono di particolari favori.
Nel corso del nostro secolo, segnato dalla tragedia di due conflitti mondiali, il presepe ha attraversato momenti di sopito interesse. Da circa trentanni sta vivendo un periodo particolarmente felice sia per l’attività di abili, fantasiosi artisti, artigiani, hobbysti, sia per l’interesse di collezionisti, di appassionati, di simpatizzanti, di folle di amanti del presepe che ogni anno in dicembre rinnovano l’antico rito di “andar per presepi”.